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mercoledì 16 maggio 2007

mucopolisaccaridosi

Mucopolisaccaridosi e malattie lisosomiali affini (a cura dell'AIMPS*)
Presentiamo le mucopolisaccaridosi e le malattie lisosomiali affini ad esse, rare e gravi patologie genetiche del metabolismo che si dividono in numerose forme
Le mucopolisaccaridosi sono rare e gravi malattie genetiche del metabolismo che si distinguono nelle seguenti forme:- MPS I (detta anche sindrome di Hurler-Scheie)- MPS II (sindrome di Hunter)- MPS III (sindrome di Sanfilippo, nelle varianti A, B, C e D)- MPS IV (sindrome di Morquio, nelle varianti A e B)- MPS V: riclassificata come MPS I (sindrome di Scheie)- MPS VI (sindrome di Maroteaux-Lamy)- MPS VII (sindrome di Sly)- MPS VIII: riclassificata come MPS I (sindrome di Hurler-Scheie)- MPS IX (deficit di ialuronidasi)Delle malattie lisosomiali affini alle MPS si conoscono poi:- Aspartilglicosaminuria- Fucosidosi- Gangliosidosi- GM1 (sindrome di Landing)- GM2 (sindrome di Tay Sachs o Sandhoff)- Malattia di Fabry- Mannosidosi- Mucolipidosi II (I cell)- Mucolipidosi III (polidistrofia pseudo Hurler)- Mucolipidosi IV- SialidosiCause e conseguenzeNel corpo umano c’è un continuo processo di ricambio delle sostanze necessarie per le varie funzioni metaboliche. Tale processo, molto spesso, è facilitato dalla presenza di enzimi, molecole altamente specializzate nel riconoscere una serie di sostanze particolari (substrati).Se viene a mancare un enzima, il processo si altera e di conseguenza si ha l'accumulo di una particolare sostanza: i lisosomi. Questo fenomeno si osserva nei bambini colpiti da mucopolisaccaridosi.Nella fattispecie i mucopolisaccaridi sono grosse molecole che svolgono importanti funzioni nel tessuto connettivo; se nella loro via metabolica viene a mancare un enzima, essi si accumulano nelle cellule, nei tessuti e negli organi, creando uno stato patologico, le mucopolisaccaridosi appunto.I bambini che nascono con queste malattie subiscono così gravi danni, che peggiorano col passare del tempo, a causa del progressivo danneggiamento delle cellule.TrasmissioneLe mucopolisaccaridosi sono malattie ereditarie e vengono trasmesse, a loro insaputa, da genitori portatori sani.Tranne che per la MPS II (sindrome di Hunter), in cui è portatrice la madre (come avviene per l’emofilia), nelle altre forme sono portatori sia i maschi che le femmine.Se entrambi i genitori sono portatori di questo carattere, c’è una possibilità su quattro per ogni gravidanza (il 25% di probabilità) che il bambino sia affetto da questa malattia (il 50% di probabilità nella MPS II).I genitori di un bambino malato, in una successiva gravidanza, possono chiedere un esame prenatale per sapere se il feto è affetto da mucopolisaccaridosi.Evoluzione della malattiaLa vera e propria tragedia dei bambini affetti da mucopolisaccaridosi è che la loro vita va letteralmente "a ritroso". Alla nascita sembrano normali, poi la malattia si manifesta con il passare del tempo e, in certi casi, solo tardivamente.Le conseguenze variano da una forma all’altra: alcuni pazienti possono essere colpiti lievemente, ma la maggior parte soffre di gravi handicap.Spesso la crescita è limitata e vi possono essere ritardi sia psichici che fisici, in costante progressione.In alcune forme vengono persi alcuni apprendimenti: bambini che hanno imparato a parlare e a camminare, ad essere autonomi in certe funzioni, arrivano a non parlare più, si irrigidiscono nelle articolazioni, diventano incontinenti.Alcuni soffrono di disturbi visivi, respiratori, cardiaci, digestivi, motori.Cure e terapieAl momento, purtroppo, non c’è ancora una cura risolutiva delle mucopolisaccaridosi. Si è visto qualche risultato su alcuni casi e in alcune forme con il trapianto di midollo osseo che tuttavia non può essere definito un rimedio definitivo.Si iniziano inoltre a vedere i risultati della ricerca con la terapia di sostituzione enzimatica o ERT (oggi per l'MPS I, domani per l'MPS VI, dopodomani per l'MPS II, in futuro per la MPS IV e la MPS III).Si intravede infine qualche spiraglio nella ricerca con la terapia genica (MPS III). Resta in ogni caso importante il fatto che i pazienti vengano aiutati con terapie atte ad intervenire sulle manifestazioni della malattia. Il trattamento in definitiva si basa su un’assidua assistenza e intensità di controlli (soprattutto in certe forme e in certi periodi), da parte di presidi ospedalieri.Purtroppo si trovano spesso centri inadeguati, perché non provvisti di sufficienti conoscenze per affrontare i problemi che la malattia comporta, come pure non si trova chi può insegnare alle famiglie a continuare a domicilio terapie che sono quotidiane e che talvolta necessitano di apparecchiature sofisticate.Questo spesso costringe le famiglie stesse a ricorrere agli ospedali anche laddove si potrebbero evitare ricoveri ed attuare terapie domiciliari con un buon supporto del medico di base e di qualche operatore dei servizi di base.Vi è in Italia un forte difetto di conoscenza della popolazione in generale, ma anche nell’ambito degli operatori sanitari, psicopedagogici e sociali, sulla malattia, sulle modalità e sui centri di diagnosi, sulle possibilità di prevenzione e di cura sintomatica dei malati. Vi sono soprattutto problemi per l’inserimento scolastico dei bambini che hanno ritardo psichico (spesso si consiglia di ricorrere ad istituti per l’handicap) e, nelle forme in cui i pazienti hanno normali facoltà intellettive e disturbi prevalentemente fisici, vi sono problemi per l’inserimento nel mondo del lavoro.

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Blend
Complement
Contrast
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carotide interna

Carotide interna
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L'arteria carotide interna è un grosso ed importante vaso che porta i suoi rami all'encefalo, alla pia madre, all'aracnoide, all'occhio e agli organi della cavità orbitaria.

[modifica] Anatomia
L'arteria carotide interna origina dall'arteria carotide comune subito sopra il margine superiore della cartilagine tiroidea della laringe, quando la carotide comune si divide a fionda nella carotide esterna e nella carotide interna. Alla sua origine possiede un diametro di 8 mm, diametro maggiore di quello della carotide esterna. In genere la carotide interna di sinistra è più grande di quella di destra. Risale verso l'alto costeggiando la parete laterale della faringe e quindi penetra nel canale carotideo, scavato nella rocca petrosa dell'osso temporale. Percorso tutto il canale carotideo si viene a trovare all'interno della cavità cranica dove piega in avanti e penetra nel seno cavernoso. All'interno di questo caratteristico seno venoso essa non è bagnata direttamente dal sangue ivi contenuto ma è ricoperta esternamente dell'endotelio del seno stesso. All'interno del seno cavernoso essa è accompagnata da varie strutture nervose che sono:
nervo oculomotore (III).
nervo trocleare (IV).
branca oftalmica del nervo trigemino (V).
nervo abducente (VI).
Nella regione del collo dall'arteria non si stacca nessun ramo laterale, nel canale carotideo dà origine ad un piccolo rametto arterioso, il ramo carotico-timpanico, che irrora la mucosa della cassa del timpano. Appena fuoriuscita dal seno cavernoso stacca il suo secondo ramo laterale che è rappresentato dall'arteria oftalmica destinata al globo oculare. Alla fine essa si piega medialmente al davanti dei processi clinoidei e si divide nei suoi quattro rami terminali, che sono:
arteria cerebrale anteriore.
arteria cerebrale media.
arteria corioidea anteriore.
arteria comunicante posteriore.

giovedì 3 maggio 2007

pubalgia da calciatore

La pubalgia del calciatore
di L. Melli - Copyright by THEA 2005

La pubalgia è uno degli infortuni da sovraccarico che colpiscono spesso i calciatori; il termine tecnico più corretto sarebbe quello di sindrome retto-adduttoria in quanto sono funzionalmente coinvolti gli addominali (retto, obliqui, trasversi), gli adduttori (brevi, lunghi e grandi adduttori) e/o altri muscoli del bacino (pettineo e piramidale). La maggior facilità con la quale si infortunano i calciatori sembra sia dovuto alla tipologia di gioco, fatta di azioni esplosive (scatti, salti, cambi di direzione, ecc.) che provocano un'elevatissima sollecitazione delle strutture osteotendinee della regione pubica.

Come tutte le patologie da sovraccarico, la causa scatenante è l'allenarsi (o giocare) in condizioni di affaticamento;

tra le altre condizioni che ne possono facilitarne l'insorgenza è opportuno ricordare:
Scarso equilibrio tra i gruppi muscolari che si inseriscono nel pube (in particolar modo tra addominali ed adduttori).
Maggior debolezza dei muscoli adduttori rispetto agli altri muscoli della coscia e del bacino.
Iperlordosi e rigidità delle vertebre lombari.
Soprappeso.
Calzature inadatte e terreni troppo rigidi.
Altri dimorfismi degli arti inferiori.
È da tenere in considerazione che con il termine sindrome retto-adduttoria si intende un'insieme di problemi vari con, in comune, il dolore localizzato principalmente nella regione pubica.
La diagnosi e il trattamento sono discusse nell'articolo della pubalgia; vista la grande difficoltà nel trattamento (in particolar modo quando raggiungono stadi molto dolorosi),

la tempestività è l'elemento principale per una risoluzione veloce e rapida di una sindrome retto-adduttoria.

Altro fatto importante, per i soggetti facilmente soggetti a questo tipo di problemi, è la prevenzione; molte volte però i giocatori (ai fini della prevenzione) si limitano solamente a posture che permettono di allungare gli adduttori. Questo tipo di comportamento ha 2 difetti principali:
Queste posture sono esercizi di allungamento muscolare che, se fatti in maniera errata, possono condurre a tutti i problemi tipici dello stretching svolto in maniera scorretta.
Si limitano alla prevenzione di una sola delle possibili cause della pubalgia, cioè la limitazione della flessibilità degli adduttori.
Da questi punti è possibile comprendere come la prevenzione delle sindromi-retto adduttorie, per la maggior parte dei giocatori a livello dilettantistico, sia inesistente.

Strategie di prevenzione per le sindromi retto-adduttorie
In base alle conoscenze attuali è difficile stabilire una linea di prevenzione che possa essere efficace per tutti, viste le diverse cause che possono dare origine alla pubalgia.
Il giocatore deve essere l'attore principale della prevenzione di questo infortunio;

deve avere il coraggio e il buon senso di fermarsi nel momento in cui insorgono i primi fastidi cercando di limitarsi a quelle attività che non evochino dolore o fastidio.

Se il fastidio persiste è necessario rivolgersi a personale competente prima che la situazione diventi grave e vengano compromessi mesi di allenamento.
Altre linee guida che possono, in alcuni casi, aiutare nella prevenzione della pubalgia sono:
Effettuare periodicamente (almeno 2 volte alla settimana) un efficace potenziamento della muscolatura addominale; una volta alla settimana andrebbero potenziati anche gli ischio-crurali.
Svolgere un continuo programma di allungamento della base posteriore del tronco (la zona lombare) e degli ischio-crurali preferendo, per questi ultimi, il metodo Wharton.
Prestare particolare attenzione al riscaldamento prima di ogni seduta di allenamento e di ogni partita; questo, deve comprendere diverse andature (dopo almeno 8-10' di corsa lenta) come skip (corsa a ginocchia alte), corsa calciata dietro, adduzioni/abduzioni delle gambe, scivolamenti laterali, corsa laterale a gambe incrociate, galoppi laterali, ecc.
Esercizi di propriocettività con pedane instabili (possibilmente a base larga) e in posizioni diverse; questi migliorano la sensibilità e il reclutamento dei muscoli stabilizzatori, compresi quelli coinvolti nelle sindromi retto-adduttorie. Gli esercizi per la propriocettività inoltre possono essere efficaci anche per la prevenzione delle lesioni al legamento crociato anteriore e delle distorsioni alla caviglia.
Apprendere in maniera corretta le tecniche di stretching preferendo quello dinamico (non balistico); le posture andrebbero evitate (per i motivi prima esposti) prima dell'allenamento e in condizioni di affaticamento.
Strategie di prevenzione avanzate
Se le recidive sono frequenti, malgrado un corretto programma di prevenzione è consigliabile:
Rivolgersi ad un posturologo, verificare eventuali paramorfismi o dimorfismi ed attuare eventuali correzioni.
Attuare un programma di rafforzamento muscolare generale, con una particolare attenzione al potenziamento eccentrico degli adduttori. La funzionalità degli esercizi eccentrici è gia stata dimostrata per le tendinopatia al tendine d'Achille; l'utilità di questo metodo anche per la prevenzione della pubalgia nasce dal fatto che sembra che spesso la causa scatenante della pubalgia sia una distrazione muscolo-tendinea in prossimità dell'inserzione del pube. Queste esercitazioni eccentriche (affondi laterali, uso di elastici, ecc.) per gli adduttori (le cui modalità biomeccaniche sono ovviamente diverse da quelle della tendinopatia all'achilleo) devono comunque essere effettuate sotto la supervisione di personale esperto e qualificato.

distorsione alla caviglia

La distorsione della caviglia
"Una caviglia lesa e instabile rappresenta il presupposto di distorsioni recidivanti, si comprende quindi l'importanza di una buona rieducazione dopo un episodio distorsivo"

In Italia si stimano circa 50000 traumi distorsivi alla caviglia al giorno, questo significa che è uno dei traumi più comuni negli sport e nelle attività ricreative. La distorsione alla caviglia è il più frequente trauma muscolo-scheletrico dell’arto inferiore. Gli sport dove questo trauma è più frequente, in ordine crescente, sono: pallavolo (56%), basket (55%), calcio (51%)e la corsa di resistenza (40%).Nella distorsione alla caviglia quasi sempre rimane un dolore residuo abbastanza significativo che comporta una limitazione funzionale. Anche dopo che il trauma è stato curato si ha una percentuale variabile di pazienti, che va dal 10% al 30%, che lamentano una sintomatologia cronica caratterizzata da sinoviti, tendinopatie, rigidità, aumento di volume, dolore ed insufficienza muscolare, associati o meno ad instabilità del collo del piede con difficoltà a deambulare su terreni irregolari o episodi distorsivi recidivanti, a prescindere dal trattamento dell’episodio acuto. Questo avviene perché il danno del trauma distorsivo non avviene solo a carico del tessuto legamentoso, ma anche del tessuto nervoso e muscolo-tendineo, intorno al complesso della caviglia.Il tempo necessario per il recupero funzionale completo, qualunque sia il trattamento riservato al paziente (chirurgico o conservativo), varia dalle 3 alle 5 settimane; il tempo necessario prima di tornare al lavoro varia dalle 4 alle 7 settimane; e prima che il paziente possa ritornare alla pratica sportiva occorrono 10 settimane. I tempi di recupero, di solito, negli sportivi professionisti sono più corti perché il tempo riservato alla riabilitazione è molto maggiore rispetto ad esempio ad uno sportivo amatoriale.

I traumi distorsivi possono essere acuti (in seguito ad urti, contrasti, scontri o improvvisi cambi di direzione) o cronici (dopo carichi notevoli e prolungati). L'evento traumatico può portare, nella caviglia di un atleta, ad una patologia articolare, suddivisa in due quadri:
quello della lassità , con lesioni capsulari, distensioni e lacerazioni del comparto legamentoso laterale e mediale della tibiotarsica e della sottoastragalica, che determinano una escursione articolare oltre i limiti fisiologici;
quello dell’ instabilità , che l'atleta avverte come un segno di cedimento articolare durante il gesto sportivo ed anatomopatologicamente obiettivabile in una rottura più o meno totale dei legamenti.
5000 traumi distorsivi ogni giorno in Italia
20% traumi sportivi
disfunzione cronica nel 30% dei casi e frequenti recidive
costi sociali elevati
"Una caviglia lesa e instabile rappresenta il presupposto di distorsioni recidivanti, si comprende quindi l'importanza di una buona rieducazione dopo un episodio distorsivo"
La distorsione è la perdita momentanea ed incompleta dei rapporti articolari fra due capi ossei.

CLASSIFICAZIONE DELLE DISTORSIONI
Grado 0: tilt astragalico inferiore a 8°, non rotture legamentose;
Grado 1: tilt astragalico (10°-20°), rottura legamento peroneo- astragalico anteriore;
Grado 2: tilt astragalico (20°-30°), rottura legamento peroneo- astragalico anteriore e peroneo calcaneare;
Grado 3: tilt astragalico superiore a 30°, rottura di tre legamenti

SINTOMATOLOGIA DELLA DISTORSIONE
• Dolore vivo, localizzato a livello della zona anteriore del malleolo peroneale, che insorge durante la palpazione; • Tumefazione modesta o cospicua a livello periarticolare ed articolare, segno della rottura della piccola arteriola passante al di sopra del legamento peroneo-astragalico anteriore (segno di Robert-Jaspert); • Limitazione funzionale causata dal dolore che il paziente avverte durante i movimenti dell’articolazione; • Instabilità dell’ articolazione tibio-tarsica
IL TRATTAMENTO CONSERVATIVO
è diviso in 3 fasi : Acuta Sub-acuta Di Rieducazione Funzionale

FASE ACUTA

Il protocollo più accreditato per le lesioni acute è il P.R.I.C.E. Protection Rest Ice Compression Elevation In fase acuta gli obiettivi sono: a) L’immobilizzazione; b) Diminuzione degli “irritanti chimici” che causano dolore e favoriscono la “stasi tissutale” (ovvero l’edema); c) La prevenzione di ulteriori sollecitazioni meccaniche della struttura lesa.

FASE SUBACUTA
In fase sub-acuta lo scopo del trattamento è quello di sottoporre il tessuto leso ad una serie di sollecitazioni meccaniche, utili per promuovere l’orientamento fisiologico delle fibre collagene. Gli obbiettivi in questa fase sono: a) L’eliminazione del dolore; b) Il recupero della particolarità; c) L’eliminazione dello spasmo muscolare; d) L’eliminazione dell’edema; e) Il recupero della forza muscolare. Per raggiungere questi obbiettivi si utilizzano massaggi, terapie fisiche, tecniche di mobilizzazione e la cinesiterapia.

FASE DI RIEDUCAZIONE FUNZIONALE
Nella fase di rieducazione funzionale si mira al: a) Recupero della propriocettività; b) Recupero della forza; c) Prevenzione delle recidive.

IL BENDAGGIO FUNZIONALE previene l'insorgere di ricadute o recidive quando si riprende l'attività motoria; evita i danni di una prolungata immobilizzazione o inattività funzionale; riduce i tempi di recupero

Qualora si riporti una distorsione alla caviglia in luoghi avversi, lontano da possibili soccorsi, è bene non togliersi la scarpa per esaminare la lesione. Il conseguente dolore associato a gonfiore potrebbe infatti ostacolare il reinserimento del piede nella scarpa.

LA RIEDUCAZIONE PROPRIOCETTIVA
Con il termine di rieducazione propriocettiva , come appare chiaro dal termine stesso, si intendono tutte le metodiche e gli esercizi mirati a stimolare e rieducare la sensibilità propriocettiva, quella, cioè, che ci permette di conoscere anche ad occhi chiusi la posizione del nostro corpo e dei suoi segmenti nello spazio.

Particolari recettori raccolgono i segnali di origine periferica, trasmettendoli al sistema nervoso centrale che elabora le informazioni ricevute e le integra con altre afferenze (visive, labirintiche), per organizzare adeguate risposte motorie.
La funzione dei propriocettori è quindi fondamentale per regolare il tono muscolare, la postura e la corretta esecuzione dei movimenti.

GLI ESERCIZI PROPRIOCETTIVI

Gli esercizi propriocettivi sono quindi quelle attività che vanno a stimolare il sistema propriocettivo, con l'obbiettivo di allenarlo a fornire delle risposte rapide ed adeguate in situazioni destabilizzanti e potenzialmente pericolose, coscientizzando l'individuo nei confronti del proprio corpo. In particolare la rieducazione propriocettiva nel caso della caviglia deve proporsi come fine quello di far acquistare all’ articolazione tibio-tarsica una maggiore coordinazione nelle contrazioni muscolari e delle leve ossee, in relazione al movimento .
Inizialmente la rieducazione propriocettiva si effettua in scarico o in maniera passiva, per abituare il paziente a percepire le diverse caratteristiche del movimento indotto e coscientizzarlo riguardo alle sue possibilità di reazione motoria.
Successivamente , prima di eseguire gli esercizi propiocettivi in stazione eretta andremo a fare recuperare, se non ancora presente, un’equa distribuzione del carico. Successivamente si propongono esercizi su superfici instabili , come i piani circolari, le tavolette quadrate e le semisfere Il paziente deve imparare a mantenere l’equilibrio con semplici movimenti delle caviglie, inizialmente ad occhi aperti e con l’aiuto del terapista, successivamente senza aiuto e senza il controllo visivo. Il lavoro prosegue poi in monopodalica sia sull’arto leso sia su quello sano. In questa fase il terapista può aiutare il paziente, o destabilizzarlo con delle spinte quando ha raggiunto un buon controllo dell’equilibrio. Quando il paziente ha recuperato una buona deambulazione si procede con l’eseguire un percorso propriocettivo composto da cuscini che hanno una diversa consistenza e deformabilità, in modo da adattare il passo e stimolare i recettori propriocettivi durante la camminata su un terreno non omogeneo



RINFORZO MUSCOLARE
Nella riattivazione motoria, dopo un qualsiasi trauma, distorsivo o meno, ricopre un ruolo fondamentale il rinforzo muscolare , in quanto un buon trofismo dei muscoli riduce il rischio di lesioni recidivanti e permette al paziente di riprendere a pieno regime le attività che svolgeva prima dell’incidente. Nella rieducazione della caviglia dopo una distorsione dobbiamo prestare particolare attenzione ai movimenti che andremo a far compiere al paziente, in modo tale da non procedere subito con esercizi che possono recare danni al comparto che ha subito il trauma. Per questo motivo è meglio cominciare con esercizi molto leggeri, divisi in più serie con poche ripetizioni Lo strumento più utilizzato per il rinforzo muscolare è l’ elastico , in quanto permette di dosare il carico ed è molto versatile per questo tipo di esercizi. Gli stessi esercizi possono essere effettuati con l’ausilio di una palla di spugna . Quando il paziente è in grado di camminare senza evidenziare zoppia e senza accusare dolore nella zona interessata si può procedere con l’esecuzione di esercizi a carico completo. Possiamo dividere questi esercizi in due categorie. La prima è per il potenziamento dei muscoli della gamba, più precisamente per quelli della loggia posteriore. La seconda invece è mirata al potenziamento dei muscoli della coscia.

IL RECUPERO DEL GESTO
La fase successiva è quella del recupero del gesto atletico, che è mirata non solo a l recupero della meccanica del passo normale, ma al recupero ottimale per tornare a svolgere attività fisiche come prima dell'infortunio





LA RIABILITAZIONE IN ACQUA
La riabilitazione in acqua prevede l'esecuzione di esercizi, molte volte gli stessi che si eseguono in palestra, con il corpo parzialmente immerso nell’acqua

Questo tipo di riabilitazione sfrutta alcune leggi fisiche come:
Principio di Archimede
Reazione Viscosa
Anche la riabilitazione in acqua si divide in tre parti:
Rieducazione propiocettiva
Rinforzo Muscolare
Recupero del Gesto

La Rieducazione propiocettiva
si invita il paziente a camminare lungo la vasca mantenendo sotto il piede una tavoletta galleggiante in modo da creare una situazione di instabilità continua durante le varie fasi del passo.
Il Rinforzo Muscolare
esercizi con lo step , flesso-estensione delle gambe con sostegno di un galleggiante, nuoto a stile libero con le pinne in modo tale da aumentare la resistenza dell’acqua, camminate con attrezzi che aumentano la resistenza dell’acqua nello specifico del gesto e movimenti di adduzione, abduzione e flesso-estensione della gamba da stazione eretta.
Il Recupero del Gesto
andremo ad eseguire vari tipi di camminata , in avanti, all’indietro, laterale, corsa nelle tre direzioni, balzi , saltelli e tutte le altre situazioni a cui si può andare incontro durante il ritorno all’attività da parte del paziente. Tutti questi esercizi potranno subire variazioni come, ad esempio per il cammino, camminare in avanti prima esasperando la flessione del ginocchio andando quasi a toccarsi la zona addominale, oppure mantenendo le gambe rigide.

ARTICOLI CORRELATI: Rinforzo muscolare nella distorsione della caviglia
Frattura della caviglia
Distorsione al ginocchio